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venerdì 30 novembre 2012

LA CONFUTAZIONE DELLE TESI DI FRIEDMAN

Gli studi dei due economisti americani, Friedman e Phelp, sono stati smentiti dalla realtà:



Il primo grafico rappresenta l’andamento della disoccupazione in Australia dal 1996; il secondo grafico rappresenta invece il tasso di inflazione australiano sempre dal 1996. Il confronto di questi due grafici è utile ai fine di dimostrare che le ipotisi di Phillips e di Friedman poi sono menzogne. Come si vede molte volte accade che disoccupazione e inflazione diminuiscano contemporaneamente. Questo secondo la curva di Phillips è impossibile, e ancor più impossibile per gli studi di Friedman. Eppure recentemente l’Australia è passata da un tasso di inflazione attorno al 5% del 1996 a uno dell’1% del 2012, mentre il suo tasso di disoccupazione è passato da un circa il 10% al 5%. Ad una diminuzione della disoccupazione segue invece un tasso di inflazione se i nuovi lavoratori assunti non sono occupati in professioni che aumentano il valore dei beni in circolo. Invece se si attuano politiche adeguate (e questo lo si può sempre fare, se non accade è per corruzione, incompetenza o ignoranza degli stessi politici) si può ridurre il tasso di disoccupazione e mantenere costante l’inflazione, se non addirittura ridurlo. Ma il caso australiano non è l’unico. Abbiamo anche quello del Brasile:


Come prima si vede che il tasso di disoccupazione diminuisce dal 12% del 2002 al 6,5% del 2012 mentre quello dell’inflazione dal 18% del 2003 al 5%. In definitiva, perché secondo Friedman l’immissione di nuovo denaro nel sistema economico avrebbe generato solo inflazione? Più denaro in circolo significa un aumento di domanda, poiché aumenterebbero anche i beni prodotti. Keynes ora direbbe che questo aumento di domanda fa aumentare la produttività e quindi l’inflazione rimane molto bassa. Invece Friedman diceva che non si può sempre aumentare la produttività. Ogni paese ha precise caratteristiche, e oltre un certo limite non può produrre. Questo limite è rappresentato dal tasso di disoccupazione cronico di quella popolazione. Le persone non possono essere occupate mantenendo il livello del salario medio costante perché altrimenti si genererebbe un flusso di domanda che le caratteristiche costitutive, innate, di quel sistema economico, impedirebbero di soddisfare. Ma questo è falso: se così fosse sarebbe impossibile la famosa crescita del PIL (che rappresenta proprio l’aumento di beni in circolo prodotti in un determinato paese). Ma sia prima che dopo tutti i paesi sviluppati hanno sempre aumentato la loro produttività. Che ci sia un limite naturale oltre il quale il suolo non può e non deve essere sfruttato è necessariamente vero, le scorte su questo pianeta sono finite, ma sono abbastanza per soddisfare i bisogni di tutti, e questo è calcolato da moltissimi indicatori economici. Ho già detto che all’oggi si produce già tutto il cibo necessario a sfamare tutta la popolazione planetaria, ma i morti di fame continuano ad esistere, a centinaia di milioni. Quindi oggi una piena occupazione mondiale sarebbe possibile; Friedman diceva invece che ogni sistema economico ha un suo limite gia raggiunto, e per questo non si deve cercare di aumentare il tasso di occupazione e sarebbe inutile cercare di aumentare la produzione.  Nasce così questo pensiero unico che persiste tuttora nelle università più prestigiose. Friedman è responsabile di aver teorizzato il tasso di disoccupazione cronico, pertanto di aver inflitto sofferenze inimmaginabili a milioni di persone. Vi rendete conto di che cosa vuol dire? Per forza dovranno esserci uomini condannati alla povertà e miseria. Se “necessariamente” uno su dieci rimane senza lavoro è costretto alla miseria. Ma nessuno vuole morire di fame, così si genera per forza una lotta alla sopravvivenza che porta ogni singolo individuo della società a lottare contro tutti gli altri per non cadere in miseria. E’ come il gioco della sedia che facevamo da bambini. Lo scopo del gioco è sedersi nel momento in cui la musica di un apparecchio si ferma. Tuttavia ogni volta, il numero di sedie è inferiore di uno a quello dei partecipanti, così quando la musica si spegne si sa già che uno sarà eliminato. Cosa succede allora? Vediamo che i bambini corrono verso la sedia più vicina e si urtano, spingono per accaparrarsi un posto. Quello che succede oggi è un modello amplificato dell’esempio citato. L’effetto di un tale sistema porta alla disgregazione sociale, ad esplosioni di improvvisa ed inspiegabile violenza, proprio come i bimbi che si spingono. E’ la morte di qualsiasi democrazia. Si ritorna in uno stato bestiale in cui comanda un’unica legge: mors tua vita mea, cioè allo stato di natura dove vige la legge del più forte. La teoria di Friedman era perfetta per i grandi industriali, per l’elite economico finanziaria che poteva così liberarsi delle proteste della gente comune. Se si dimostra infatti che la piena occupazione porta lo stato allo sfascio, un comune cittadino che non si intende di economia si rassegna e cerca di non rientrare in quella fascia di sfortunati. Ma se ci si rassegna a combattere crollano tutte le conquiste sindacali sul lavoro; muore ogni dialettica (libera discussione tra le opinioni) che è il principio su cui si fonda l’intera democrazia, perché non ci sarebbe nulla da fare, la disoccupazione sarebbe accettata. Il pensiero unico è stato creato come ho già detto, con grandi finanziamenti che pertanto hanno reso innocue le poche università contro tendenza che comunque esistono tuttora. Il vantaggio per le elite economico-finanziarie è notevole anche per un altro aspetto di questa teoria neoliberista. L’attuare politiche in grado di contenere anche il più piccolo rialzo dell’inflazione sono politiche felicissime per chi detiene rendite fondiarie o ha grandi capitali investiti. L’inflazione erode le rendite fondiarie. Anche se sono investiti nelle più disparate imprese economiche, i capitali dei grandi detentori di capitali sono quelli che subiscono le perdite maggiori a causa dell’inflazione. Quindi chi ci rimetteva erano le grandi elite economico-finanziarie, non la popolazione. Per fare i propri interessi, le elite hanno finanziato fior fior di economisti tra cui Friedman per dimostrare che l’ inflazione era un danno assoluto, valido per tutti i cittadini, e che dunque era da combattere. Per screditare il mito che l’inflazione degli anni ’60-’70-‘80 abbia eroso i patrimoni delle famiglie italiane ecco un grafico che mostra l’aumento degli stipendi e dei salari reali di questo periodo (da notare gli anni ’80 quando c’era la tanto contestata scala mobile che prevedeva l’aumento dei salari in proporzione al tasso di inflazione):


Come vedete l’aumento degli stipendi ha anche coinciso con l’aumento dei salari reali dei cittadini (il salario reale al contrario di quello nominale rappresenta la quantità di prodotti che si possono comprare data una cifra x. Il salario nominale rappresenta invece il numero di euro, dollari, ecc.. contenuti in un salario; se prima guadagno 100 euro e posso comprare 100 limoni e poi guadagno 200 euro ma posso comprare sempre 100 limoni, il salario nominale è aumentato di 100, quello reale non è aumentato perché con uno stipendio compri sempre tanti beni quanto prima). L’inflazione ha un po’ abbassato il valore reale dei salari rispetto a quello nominale, tuttavia c’è stato un aumento molto grande dei salari reali, quindi non è vero neppure che l’inflazione ha eroso tutto il salario dei lavoratori di quegli anni. Questo dimostra che anche un eventuale aumento dell’inflazione dovuto a politiche di piena occupazione (che come ripeto possono anche fruttare senza generare inflazione) non significa una diminuzione del potere d’acquisto (Ciò che un individuo è in grado di comprare, in accordo con le risorse di cui dispone) tale da controbilanciare l’aumento del valore nominale di un salario; il salario reale aumenta comunque, nonostante l’inflazione col vantaggio che nella società si è però creata piena occupazione. Capite che a perderci con la scala mobile non erano i lavoratori: essi continuando a lavorare e ricevendo sempre i loro stipendi, non soggetti ad inflazione per l’effetto della scala mobile, non perdevano nulla. Ma coloro che detenevano grandi capitali depositati sui conti correnti, vedevano il loro denaro svalutato e si vedevano costretti a dover lavorare o comunque cercare investimenti anche più rischiosi che potessero rendere un interesse in grado di arginare gli effetti inflattivi. I ricchi improduttivi detestano l’inflazione, e vogliono far credere che questo loro problema riguardi tutti, ma in realtà i principali sconfitti da un tasso di inflazione poco più alto sono loro, non i lavoratori, tanto meno quelli che godevano della scala mobile. Naturalmente l’inflazione è un problema per tutti in caso di iperinflazione, quando cioè ogni mese il tasso di inflazione è del 50%, ma questo è un caso raro che deriva da circostanze storiche circoscritte. I casi finora conosciuto di iperinflazione sono: Weimar (1920-23); Grecia (1942-45); Ucraina (1991); Zimbawe (2008). Lo scandalo sta nel fatto che Friedman ricevette il premio nobel proprio dopo la clamorosa sconfitta sociale della sua ideologia. Infatti in Argentina ad un solo anno dalla sua applicazione i salari avevano perso il 40% del loro valore con la chiusura delle fabbriche il paese cadde in povertà. Le politiche attuate in Cile sotto la dittatura di Pinochet fecero crescere in un anno l’inflazione al 375% e con il 75% del salario ci si poteva comprare solo il pane. In Inghilterra poi furono sperimentate le stesse politiche sotto il governo di Margaret Thatcher  portò nei suoi primi tre anni di gestione al raddoppio della disoccupazione in moltissimi settori dell’economia e i salari di un direttore che nel 1989 erano dieci volte superiore rispetto al dipendente, nel 2007 diventarono cento volte di più. E’ chiaro: politiche neoliberiste portano all’impoverimento degli strati più bassi della popolazione apportando ulteriore ricchezza soltanto a quelli già ricchi. Tutti questi riscontri negativi non sono stati un caso, ma sono stati accuratamente progettati al fine di garantire un maggiore interessi alla classe più benestante della nostra società. Messa a punto la teoria e innescato il circolo virtuoso del finanziamento, occorreva trovare l’occasione adatta per applicare finalmente i modelli matematici alla realtà economica e avviare così la controrivoluzione anti-keynes. La retorica del liberismo utilizzò spesso la propaganda anticomunista, ma il vero nemico era il keynesismo. Gli Stati Uniti non erano ancora usciti dal sistema del New Deal, l’Europa sembrava avviata verso un modello socialdemocratico, mentre buona parte del mondo in via di sviluppo stava abbracciando sistemi regolati dallo stato. Il neoliberismo è nato e si è diffuso per contrastare tutto questo. Esattamente come il marxismo, il neoliberismo appariva un’ ideologia tanto accattivante quanto irrealizzabile (a prezzo, per entrambi, di tragici effetti collaterali); l’utopia degli imprenditori al posto dell’utopia dei lavoratori; il mercato perfetto anziché lo stato proletario; per entrambi felicità universale e soluzione di tutti i problemi. Dato che le crisi economiche non sono ancora scomparse, dato che le disuguaglianze sono ancora vive fortemente nella società è evidente che il sistema neoliberista non funziona (almeno per noi). In Italia nacquero le fondazioni simili a quelle estere attorno alla seconda metà degli anni ’50. Per esempio la CUOA (1957), dalle cui stanze sono usciti nomi come Mario Draghi, Marchionne, la Marcegaglia, Montezemolo, Profumo, Doris. Proprio queste fondazioni sono riuscite ad infiltrare nei luoghi chiave individui indottrinati a questo modello economico. Ci sono ad esempio professori universitari di economia che non seguono la scuola neoliberista, tuttavia questi non hanno avuto e tuttora non hanno i fondi per espandere le loro idee. Poiché uno degli obiettivi di questo “sogno” (di pochi ma fatto di tanti) è la privatizzazione di ogni servizio salta subito alla mente il GATS. Questo accordo dimostra che i membri del WTO vogliono soltanto il loro bene e quello dei loro business: il WTO è un organizzazione che punta a diffondere il neoliberismo, e purtroppo questo processo di impoverimento collettivo e di conseguente perdita dei diritti umani, è già in atto da tempo. Infatti i valori che un tempo tenevano unita la famiglia si stanno disgregando con il risultato che la rete di rapporti al suo interno risulta sempre più difficile. Considerando poi che i posti di lavoro disponibili sono sempre in calo, chi lo ha, lotta per tenerselo stretto e non pensa ad altro. Chi invece ha la sfortuna di non essere riuscito a trovarlo, dedica tutta la giornata ad una ricerca continua. E’ una lotta tra poveri e tra  sconfitti. L’idea di democrazia formale diventa ogni giorno di più un sogno quasi proibito. Purtroppo questo mondo non ci lascia più tempo “da perdere” in “sciocche” relazioni umane, tanto meno sentimentali. Meno coppie si formano, meno figli nascono (pensare alla crescita ”0” della popolazione). Se una relazione non si continua a coltivare, è stato studiato, essa tende a distruggersi nel tempo. Così, ci stiamo trasformando in tante piccole macchine, gelidi nei sentimenti e avidi di consumo. Nel poco tempo libero ci si svaga andando per negozi. Ed è proprio così che ci vogliono: inattivi mentalmente. Meno si pensa meno si ragiona, meno si ragiona meno si capisce, meno si capisce più si è controllati. Ora, un conto è consumare i cosiddetti beni primari per soddisfare le necessità fisiologiche del corpo; un altro è consumare per diletto e lavorare per soddisfare questo piacere. In questa società l’importanza dei valori morali del singolo è stata soppiantata con quello che chiamo il “valore moda”. Le mode sono per molti una prigione. Moltissimi individui, soprattutto tra i giovani, si sentono INSICURI senza certi abbigliamenti che soltanto preventivamente sono stati oggetti di massificazione sociale. Ma il piacere del vestito di moda, del nuovo tipo di cellulare, delle scarpe cosiddette di “tendenza” presto si trasforma in bisogno per portare poi ad una vera e propria schiavitù degli oggetti. Gli esperti del business questo ben sanno. Per riuscire a vendere e a mantenere le menti inattive fanno periodicamente uso del fattore “cambio moda”. Proponendo sempre nuovi capi di vestiario al singolo che, cresciuto nella società-consumo, è spinto a comprare e comprare e comprare ancora. I pochi che si oppongono a ciò vengono derisi ed emarginati, finché, stufi della loro posizione, si adeguano lasciandosi cadere in schiavitù del Dio Denaro e della Dea Moda. Tutto questo per giunta non garantisce all’individuo la sicurezza e l’indipendenza di cui avrebbe bisogno: al solito cambio di moda comincerà tutto da capo. Bisogna educare fin dall’infanzia i nostri figli a considerare l’importanza dei valori morali che ci differenziano da tutte le altre specie animali. Nell’ora riservata ai bambini le reti televisive dovrebbero sospendere le pubblicità e trasmettere programmi adatti ai bambini che sappiano divertire ma anche educare. Messaggi di amore, solidarietà, amicizia, umiltà, partecipazione e perdono dovrebbero caratterizzarli. Fortunatamente, anche se ora non è così, non sta scritto da nessuna parte che così dovrà rimanere.

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